Nasce a Rieti il 20 settembre 1638 da Giulia Poggi e Stefano Tatoti, un artigiano della piccola borghesia cittadina.

Lo spiccato talento del giovane per la pittura si manifesta in tenera età, come ricorda il suo biografo Lione Pascoli che ne redige la vita nel 1736. Egli però non può soddisfare tale naturale inclinazione a causa delle condizioni economiche della famiglia, soprattutto dopo la morte del padre avvenuta nel 1646. Nel 1656 monsignor  Bulgarino Bulgarini, Governatore della città di Rieti, lo toglie dalla tutela materna per porlo sotto quella dello zio; di lì a poco il prelato, per l’incombere della peste a Rieti, si trasferisce a Roma.

Nel luglio del 1658 il ventenne Antonio è a Roma presso il Bulgarini che figura in veste di mecenate e protettore. Nel 1660 Antonio Tatoti, ancora a Roma, dichiara di essere pittore e assume il toscaneggiante cognome di Gherardi. Grazie al protettore è introdotto negli ambienti della più alta aristocrazia romana, nel circuito degli artisti operosi per la regina Cristina di Svezia, nella bottega dell’affermato Pier Francesco Mola (1659-1662) e successivamente del più famoso Pietro da Cortona, che lo inserirà nell’entourage barberiniano. Il periodo di formazione termina con un viaggio di studio, 1667-68, nell’Italia settentrionale, con tappe a Venezia, Perugia, Firenze, Ferrara, Bologna, Milano, Mantova e Milano.

La carriera del Gherardi è in ascesa e sempre più variegata. Tra il 1669 e il 1670 realizza nella piccola ma centrale chiesa romana dei filippini di Santa Maria in Trivio, presso la fontana di Trevi, i dipinti della volta, ad affresco ed olio, di chiaro sapore veneziano e con arditi scorci prospettici. A seguire, (1673-1675), gli affreschi del salone di palazzo Naro, (famiglia prossima ai Barberini), in Via Monterone a Roma, con storie di Ester ed Assuero. Successivamente, in Santa Maria dell’Aracoeli, si occuperà della cappella del Beato Francesco Solano, di cui cura progetto, decorazione in stucco e lunettone ad olio. Nel ’74 Gherardi è nominato membro dell’Accademia di San Luca. Nel 1677 torna al Trivio con un impegno di tipo plastico-architettonico per la decorazione in stucco dell’altare maggiore, opera che lo introduce alla successiva progettazione di apparati effimeri.

Da quella fase la sua attività artistica coniuga sempre più alla pittura l’esperienza progettuale dell’architettura e dell’apparato effimero che diventa permanente attraverso l’uso sperimentale dello stucco. Ciò si ravvisa nella cappella Avila di Santa Maria in Trastevere del 1680. E ancora nella decorazione della cappella in San Carlo ai Catinari e con la pala d’altare raffigurante Santa Cecilia nell’Accademia omonima. A seguito della morte dell’architetto Carlo Rainaldi, avvenuta nel 1691, Gherardi riceve anche il mandato del progetto dell’altare e di tutta la cappella. Al fervore di quegli anni appartengono anche altre due interessanti realizzazioni: nel 1697-1698, la cappella di Sant’ Anna con pala d’altare raffigurante la Sacra famiglia con Sant’ Anna, nella chiesa di San Venanzio ed Ansuino dei Camerinesi, poi andata distrutta (il dipinto è attualmente collocato nella chiesa romana di Cristo Re), e la cappella di Santa Teresa d’Avila con relativa pala d’altare, in Santa Maria in Traspontina.

Nonostante la quantità e il prestigio delle commissioni romane, il Gherardi invia negli anni ’80 e ’90 diversi dipinti a Narni e soprattutto Gubbio, sfruttando il circuito francescano delle committenze, come avvenne per la cappella dell’Immacolata Concezione di Sant’ Antonio al Monte a Rieti. La tela, di assoluta qualità tecnica e sorprendente dinamica compositiva resta uno dei saggi più interessanti della pittura barocca romana. Altrettanto preziosa e luministicamente raffinata è la tela realizzata per il canonico Giuseppe Angelotti, raffigurante San Leonardo che libera un carcerato (1698), oggi conservata nel Museo Civico di Rieti a seguito della sciagurata distruzione della chiesa di Santa Maria del Suffragio in Porta d’Arci. Sempre nel museo cittadino è conservato il ritratto di Pietro Mattei, che potrebbe essere l’unico saggio di ritrattista del Gherardi negli anni estremi.

L’artista muore a Roma il 10 maggio 1702.